A picco i conferimenti in discariche e inceneritori. Conte: «Quelli che ci sono faticano a sopravvivere». E si arruolano anche i sindaci.
VENEZIA — Il rovescio della medaglia del riciclo, quella che il Veneto ha appuntata al petto ormai da diversi anni, mette in fila numeri sconfortanti, conti in affanno, previsioni lacrimevoli. Gli impianti di incenerimento e le discariche arrancano perché più la gente differenzia, meno rifiuti da smaltire ci sono. E meno rifiuti si smaltiscono, meno soldi si incassano. Il che ha delle conseguenze pratiche, perché stiamo pur sempre parlando di aziende, con i loro bilanci da chiudere ed i loro dipendenti da stipendiare al 27 del mese. Per questo l’assessore all’Ambiente Maurizio Conte è deciso a dire no al rilascio di qualunque autorizzazione per l’apertura di nuovi inceneritori nel Piano rifiuti che vedrà la luce ai primi di febbraio, se si confermeranno le intenzioni (quello attuale è datato 2004). «Non ci saranno nuovi impianti perché, al momento, registriamo difficoltà a far funzionare quelli che ci sono. Di più: stiamo studiando la possibilità di convertire una parte delle linee dedicate allo smaltimento dei rifiuti urbani, oggi sottoutilizzate, per lo smaltimento dei rifiuti speciali». Quelli che, per intendersi, gli industriali di Treviso vorrebbero incenerire in due termovalorizzatori nuovi di zecca.
La conversione potrebbe trattenere in Veneto una parte dei rifiuti speciali,specie pericolosi, che oggi vengono esportati fuori regione, all’estero. Dove? In Germania, per lo più, ma anche in Cina, per quel che riguarda i resti delle apparecchiature elettroniche, e nei Balcani, dove lo smaltimento è un po’ più nebuloso. Stiamo parlando, secondo il report 2009 dell’Arpav, di 379 mila tonnellate all’anno, anche se il direttore dell’Agenzia, Chicco Pepe, rivela: «Ormai stiamo arrivano a superare quota 500 mila tonnellate ». Rifiuti che potrebbero contribuire a saturare le linee di Fusina, Padova e Rovigo, che nei mesi scorsi hanno più volte chiesto alla Regione di poter importare rifiuti dal resto d’Italia, vedasi alla voce «Sud, Napoli», per portare a regime ed ottimizzare i loro sistemi che oggi creano diseconomie destinate a ripercuotersi sui bilanci. Resta solo da capire se il servizio eventualmente reso dagli impianti esistenti possa essere concorrenziale: il mercato dei rifiuti speciali è infatti un mercato privato, in cui le aziende si rivolgono a chi fa il prezzo migliore, sia esso veneto, lombardo o tedesco. Tra gli obiettivi del nuovo Piano regionale c’è dunque anche quello di trovare il giusto equilibrio tra domanda, offerta e prezzo del servizio. Per capire l’aria che tira, ad ogni modo, è sufficiente riflettere sull’episodio della nuova «discarica tattica» di Legnago, nel Veronese.
La «discarica tattica» è una discarica individuata dalla Regione per fronteggiare le emergenze rifiuti che dovessero mai verificarsi in Veneto. Un’eventualità che appare assai remota, visti i numeri del riciclo che si annotano a queste latitudini, ma che pure dà la possibilità alla discarica così individuata di accogliere rifiuti anche da fuori provincia, il che altrimenti sarebbe vietato. Ebbene, per Legnago questa investitura, magari con qualche tonnellata in arrivo a stretto giro da Vicenza, sarebbe a dir poco salvifica, perché il drastico calo dei conferimenti (e dei relativi incassi di smaltimento) in questo momento ne sta mettendo a serio rischio non solo la sopravvivenza ma pure la bonifica. La Regione è intenzionata a dire sì (attende solo un parere) ma subito il sindaco del Comune dell’altra, ed al momento sola, discarica tattica del Veneto, quella di Sant’Urbano, a Padova, ha chiesto un incontro a Conte per vederci chiaro: più rifiuti a Legnago significa infatti meno rifiuti a Sant’Urbano e il suo Comune rischia di perdere così la bellezza di 10 euro a tonnellata. Pecunia non olet. Specie di questi tempi.
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